Michel Onfray - Cinismo. Princìpi per un'etica ludica (1992)
Teofrasto tratteggiò un ritratto del cinico. Vediamolo: giura con leggerezza e ha nomea deplorevole. È sporco, beve e non è mai sobrio. Quando può truffa, e bastona coloro che scoprono la frode, prima che possano denunciarlo. Nessuna attività gli ripugna: diventerà locandiere e, se è necessario, tenutario di bordello, banditore e persino — è tutto dire — esattore di gabelle. Ladro, frequentatore abituale di commissariati e guardine, lo si trova talvolta a fanfaronare nelle piazze, a meno che non si trasformi in avvocato buono per tutte le cause, fossero pure le più indifendibili. Prestatore su pegno, ostenta tutta l'alterigia di un mafioso, e senza fatica lo possiamo immaginare quale gangster simbolico: « Fa il giro delle botteghe di cibi cotti», scrive Teofrasto, «di pesce fresco, di pizzicheria, e raccoglie in bocca il guadagno del suo mestiere». Non dimentichiamo, a completamento del quadro, che senza vergogna «nega gli alimenti alla madre»...1
Il lettore ha certo già compreso che tale cinismo non è il nostro.È troppo vagabondo, troppo comune.
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